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Alcune annotazioni
La colomba è tornata con un ramoscello d’ulivo nel becco; la natura è stata fermata nella sua ribellione furiosa alla dilagante iniquità dell’uomo: è come se avesse voluto rispecchiarne il comportamento esercitando la stessa potenza distruttrice. A volte soltanto quando vediamo fuori di noi ciò che abbiamo dentro diveniamo capaci di riconoscerne la stortura. La pace tra cielo e terra è ripristinata e il Signore Dio consegna così le nuove indicazioni, adeguate all’essere umano nella sua configurazione attuale, celebrando infine un rito di alleanza. Ciò che cambia rispetto alla prima disposizione data nel primo racconto della creazione (Gen 1,1-2,4a) è che ora viene reso possibile nutrirsi anche di carne, mentre al principio non fu così: nel disegno iniziale della creazione soltanto le erbe erano state date in cibo perché la relazione tra gli esseri umani e gli animali era in piena armonia senza che fosse inflitta sofferenza e morte alcuna. Ora è come se Dio prendesse atto che una quota di violenza è stata ormai inesorabilmente introdotta e l’unica Sua richiesta è quella di non mangiare il sangue della carne, prescrizione da cui trae origine nella tradizione ebraica il cibo kosher o kasher, in cui la carne degli animali è privata del sangue. Ad ogni modo l’alleanza tra Dio e gli esseri umani, tramite Noè, ritorna piena e viene sigillata con l’anello nuziale più bello che si potesse mai immaginare: l’arcobaleno posto sulle nubi, con quei sette colori rifranti in altrettante miriadi, su cui poi apprenderemo che sono posti quali custodi sette splendidi Arcangeli, esseri interamente al servizio di Dio e dell’amore per noi.
Soffermandomi un momento a scrutare questo mirabile arcobaleno, ecco l’azzurro di Mikèl, il custode della lotta contro le potenze del male e della fede; il giallo di Jofièl, che presidia i doni di sapienza e illuminazione; il rosa di Chamuèl, custode dell’amore incondizionato e dell’amicizia; il bianco di Gabrièl, colui che apre nuove vie e ci sostiene nella nostra ascensione; il verde di Rafaèl, che conduce per sentieri di guarigione a tutti i livelli del nostro essere; il giallo e rosso fuoco di Urièl, che assiste nei cammini di pacificazione, di contatto con la nostra abbondanza interiore e prosperità, con la nostra alta dignità di figli di Dio; il viola di Zadquièl, custode e presidio di trasformazione di ogni energia negativa e densa in luce, pace, amore, perdono a 360° inclusivo di noi stessi. Amici preziosi e stupendi, disponibili a venire in nostro aiuto in qualsiasi momento li invochiamo e posso testimoniare che è assolutamente vero. Portano il nome di Dio EL nel loro nome. Ce ne sono molti altri, miriadi di creature angeliche meravigliose, ma loro sono i custodi dell’anello nuziale di Dio per l’uomo. E l’uomo dovrebbe essere a sua volta l’anello nuziale – rivestito dei colori degli Arcangeli - per tutte le creature: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,19-22).
Risponde bene Pietro al Maestro che domanda ai suoi chi dicono loro che egli sia: “Sei il Cristo”, colui che reca la vita di Dio nel mondo perché questa è la sua unzione. Ma poi Pietro prende una cantonata nel momento in cui rifiuta che questo Cristo soffra. Così importante è invece la sua sofferenza che – nel vangelo di Marco è particolarmente chiaro – addirittura Gesù vieta ai discepoli di rivelare la sua identità di Cristo fin quando non sia tutto compiuto. Non per caso il primo a confessare apertamente che Gesù è “il figlio di Dio” sarà il centurione romano che lo dirà paradossalmente quando lo vedrà morto appeso alla croce, interamente livido, trafitto, ammaccato, piagato (Mc 15,39). L’essenza di figlio di Dio, Dio a sua volta, si rivela proprio nel momento della sua più piena umanizzazione, quando entra interamente nell’esperienza dell’assunzione del dolore e della morte più straziante e ignominiosa. “Dalle sue piaghe noi siamo stati guariti” (1Pt 2,21-25; cfr. Is 52,13-53,12). Da qui il richiamo a Pietro: “Va’ dietro a me!”, che non è affatto il noto ed errato “vade retro” in quanto allontanamento e rifiuto; al contrario è l’invito a riposizionarsi dietro di lui, alla sua sequela, seguendo il suo pensiero non mondano ma divino (Rm 12,1-2). Credo che anche noi, per prima io, dobbiamo incessantemente riposizionarci lì perché il rifiuto del dolore e il mancato riconoscimento della sua maestria, della sua funzione dilatativa ed espansiva della nostra anima trasformata in tal modo nella sua versione compassionevole e sacerdotale (cfr. Eb 2,14-18), riguarda molti di noi e parecchie nostre zone interiori.
NB: gli autori citati sono sempre indicati in forma ipertestuale: puntando il mouse sul nome, si può aprire il riferimento biografico.
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