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Alcune annotazioni
Lasciata la lunga e intensa camminata dentro alla lettera agli Ebrei, ci addentriamo nel sentiero del libro del Genesi e iniziamo con il solenne introito sinfonico del primo racconto della creazione (Gen 1,1-2,4a), secondo in ordine cronologico, che narra l’opera di creazione di Dio come avvenuta lungo sette giorni. Quella che ad Agostino di Ippona, prima che si manifestasse in lui la santità, sembrava una delle fiabe indegne di credibilità della Bibbia e poi finalmente decriptate grazie alla sapiente interpretazione allegorica del vescovo di Milano (s.) Ambrogio, custodisce invece una sapienza e credibilità profonde. Infatti prima ancora della messa a fuoco che l’universo è costituito di energia sempre in movimento che procede secondo leggi evolutive e che la materia altro non è se non il prodotto dell’energia (secondo l’equazione di Albert Einstein E=mc2), le due reciprocamente correlate, questo racconto ce lo narra in linguaggio simbolico. Dapprima Elohim (significativamente un immenso essere vivente singolare ma con nome plurale) crea in grande, in immenso qual Egli è, sequenzialmente: la luce, distinguendola dalle tenebre con i grandi luminari diurno e notturni; il cielo e la terra, distinguendo poi le acque sopra i cieli e quelle sulla terra; poi via via le miriadi di forme diversificate di vita vegetale, animale, umana, in senso ascensionale per raffinatezza di capacità, dove l’essere umano – a sua volta diversificato in maschile e femminile come tutte le creature – è posto quale direttore d’orchestra che dunque dovrebbe far suonare ed esprimere al meglio ogni strumento in modo rispettoso della diversità di strumenti e partiture, non certo schiacciare e annientare. Elohim è talmente tanto e tale vita, che a sua volta la sua parola-dabar in qualche modo si distingue da Sé, pur essendogli interamente correlata: pronunciando la parola Egli crea, dà vita, tutta e soltanto vita; analogamente il suo spirito-ruah, respiro e soffio vitale, si distingue aleggiando sulle acque. Elohim è in tal modo il Creatore, la Parola creatrice, lo Spirito che soffia sopra alle acque sostenendo l’opera intera. Per oggi ci fermiamo comunque al quarto dei sette giorni, nell’opera di creazione e distinzione delle luci e di quel buio sapiente che occorre all’alternanza lavoro-riposo.
Nella distinzione maschile-femminile, che è innanzitutto interna a ognuno di noi come il buon grande Carl Gustav Jung ha rilevato nella sua opera intera, viene assai bene la memoria liturgica di Scolastica, sorella di s. Benedetto da Norcia. I due sono stati una vera e propria coppia spirituale, illuminandosi e confortandosi reciprocamente nella luce delle grazie mistiche ricevute e in quel desiderio chiaro, in quella scelta fondamentale di porre Dio a principio, fine e centro dell’intera loro esistenza, avendo colto l’essenza della vita ( così compresa poi lungo la storia umana da tutti i santi di ogni tempo, luogo e tradizione spirituale): che cioè soltanto quando Dio diventa il nostro centro noi possiamo aprirci a una vita di beatitudine vera e consolidata finanche nel mezzo delle tribolazioni; mentre viceversa fin quando qualche creatura, per quanto bellissima e posta in una relazione splendida con Dio, si sostituisce a Dio, noi ci precludiamo da soli l’accesso a questa condizione che è invece preparata per tutti. “Quelle cose che occhio non vide né orecchio udì, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1Cor 2,9). Nella vita di ogni giorno può tradursi in questa visione: “Ogni istante è eternità, perché l’eternità può sperimentarsi in quel minuto. Ogni giorno e minuto e ora, è una finestra attraverso la quale potete scorgere l’eternità. La vita è breve, nondimeno è senza fine. L’anima non perirà, ma a causa della breve stagione di questa vita voi dovreste mietere quanto più potete dell’immortalità (Paramahansa Yogananda).
C’è un episodio importante nella vita di Gesù, narrato da tutti i tre vangeli sinottici, in cui tutti i presenti, festanti, gettano i loro mantelli in strada davanti a Gesù che entra in Gerusalemme (Mt 21,7-9; Mc 11,7-10; Lc 19,35-38), come si fa in segno di sottomissione e riconoscimento della sua autorevolezza di fronte al re appena consacrato (2Re 9,12s.). Nel brano di oggi invece leggiamo che vengono deposti dinnanzi a lui, a terra, non i mantelli bensì “i malati” mentre il mantello è presente, ma è quello di Gesù che tutti i presenti desiderano toccare per riceverne la sua energia di guarigione (cfr. Mc 5,25-34). Mi pare che qui ci sia custodita una preziosa indicazione relativa alla regalità “non di questo mondo” (Gv 18,36) di Gesù, il cui potere è tutto orientato e direi riversato su di noi per il nostro bene, la nostra guarigione. Nulla di questa sua autorità è trattenuta presso di sé e per sé stesso, per il nutrimento del proprio ego. Tutto è per noi: “Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 1,21-23). Nella vita quotidiana può significare questo: “La mente è l’artefice di tutte le cose. Voi dovete indurla a creare soltanto il bene. Se, con tutta la forza della volontà dinamica, vi concentrerete su un determinato pensiero, alla fine lo vedrete prendere una tangibile forma esteriore. Quando riuscirete a servirvi della volontà esclusivamente per scopi costruttivi diverrete padroni del vostro destino” (Paramahansa Yogananda).
NB: gli autori citati sono sempre indicati in forma ipertestuale: puntando il mouse sul nome, si può aprire il riferimento biografico.
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