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Alcune annotazioni
Oggi il carattere esortativo della lettera agli Ebrei si fa intenso: “Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato”, cioè a dire che in questa lotta, se la si vuole condurre fino in fondo, è possibile dover giungere a una resistenza sino al sangue. “Se il chicco di frumento caduto in terra non muore, rimane da solo; se invece muore, porta molto frutto” (Gv 12,24). Credo che non si tratti di immaginare soltanto martìri anche fisici, soprattutto perché il martirio non va cercato: persino a santi molto cari – Francesco d’Assisi, Antonio da Padova - che a un certo punto della loro vita per ardente amore verso il Signore hanno desiderato divenire martiri, significativamente non è stato concesso. Ma la dinamica della vita di fede, se abbracciata con tutto il cuore, implica sempre uno svuotamento di sé e una dilatazione. E’ così sin dal nostro padre Abràm-padre eccelso, fatto discendere dalle altezze ma infinitamente dilatato in Abraham-padre di moltitudini. Per ognuno è tracciato un cammino sensato in cui a ciascuno è reso possibile divenire chicco di frumento seminato in terra, chiamato a piccole e a volte anche grandi morti quotidiane, che sono però altrettante trasformazioni: precisamente come è la morte, che non è mai la fine.
Dopo aver sostato ieri sulla grande liberazione di un uomo tormentato da una moltitudine insopportabile di spiriti impuri presso i geraseni, torniamo all’altra riva, ma il Maestro si manifesta sempre uguale a sé stesso: guaritore e liberatore. Il racconto di Marco della risurrezione della figlia del capo della Sinagoga e della guarigione della donna tormentata da perdite di sangue – dunque ritenuta impura dal contesto religioso in cui viveva – lo ritengo il più bello tra quelli paralleli di Matteo (9,1-26) e Luca (8,41-55). Egli vi pone dettagli molto interessanti: la comunanza tra la donna e la bambina (i 12 anni di perdite per la donna e di vita della bambina); il fatto che quando guarisce la donna Gesù sente un’energia che esce da lui e per questo si pone a cercarla con lo sguardo; lei teme di venire aspramente rimproverata perché, impura, ha osato toccarlo, mentre a lui della sua impurità non importa nulla, al contrario è colpito dalla fede di lei. Quando poi arriva finalmente in casa della bambina morta, in Marco è lui personalmente che non si fa scrupolo di cacciare via tutti coloro che sono assiepati là intorno (oggi avrebbero tirato fuori smartphone per fare video e farsi selfie) perché le cose sante necessitano la solitudine e il silenzio delle opere di creazione e manifestazione. La bimba viene peraltro risvegliata dal sonno – così, come un sonno, Gesù rivela essere il primo ingresso nella morte fisica, soltanto il primo stadio peraltro, perché subito dopo è vita piena -, ma senza gesti ieratici e imposizioni delle mani; no, è una guarigione compiuta piuttosto la mano nella mano, cogliendo dolcemente quella della bambina. Questo è un dato comune a tutti i tre racconti, come pure lo è l’altro elemento, centrale e dominante, della fede. Alla donna Gesù dice, elogiando la sua trasgressione rispetto alle prescrizioni della legge: “La tua fede ti ha salvato”. Giairo lo esorta: “Non temere, abbi soltanto fede”.
“La fede è il fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede” (Eb 11,1). “Perciò vi dico: tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete” (Mc 11,24).
Infine la consueta raccomandazione di custodire il segreto. Ricordiamo che Gesù non ha voluto essere riconosciuto ed esaltato per il suo potere di guarigione. Proprio in Marco la professione di fede piena nella sua identità accade paradossalmente quando è morto appeso alla croce: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio!” (Mc 15,39).
NB: gli autori citati sono sempre indicati in forma ipertestuale: puntando il mouse sul nome, si può aprire il riferimento biografico.
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