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Paginetta – Diario liturgico di A. Jori – mercoledì 12 febbraio 2025 – V t.o. dispari

Immagine del redattore: Antonella JoriAntonella Jori


Paginetta mercoledi 13 febbraio 2025

Link per la Liturgia della Parola (secondo il rito cristiano-cattolico latino):

 

Link per chi desidera essere orientato con suggerimenti per impostare la lectio quotidiana:

 

Alcune annotazioni

 

Secondo e più antico racconto della creazione. Le immagini utilizzate sono simili a quelle del mito mesopotamico sulle origini dell’uomo sicché le similitudini pongono in risalto le differenze nella visione sul senso della vita umana nel mondo. In entrambe le tradizioni l’uomo è tratto dalla terra (adamah); e reca dentro di sé qualcosa della vita divina: la saliva degli dèi per la Mesopotamia, il respiro e soffio-ruah di Dio per il racconto ebraico. Nel testo mesopotamico l’uomo è impastato anche con le viscere del dio più intelligente, che viene sgozzato per l’occasione. Lo scopo per cui viene tirato fuori da questo impasto per loro è quello di scaricargli il peso del lavoro, che gli dèi alquanto capricciosi si sono stancati di portare; mentre nel racconto ebraico è evidente il ruolo di collaboratore di Dio: un essere vivente, anzi un nefesh hayah-vivente in quanto desiderante, che mentre Dio fa piovere acqua sulla terra, specularmente costruisca i canali perché l’acqua possa portare raccolti abbondanti e ordinati. Per questo agli dèi mesopotamici la qualità della vita umana non importa, mentre il Dio ebraico desidera che la Sua creatura diletta sia felice: dapprima lo pone in un giardino pieno di cose “belle da vedere e buone da gustare” consentendogli accesso a tutto eccetto a quel frutto che, mangiandolo, gli farebbe del male. Perché? Si tratta non della conoscenza, ma di quella “del bene e del male” cioè – secondo il linguaggio ebraico – dal bene sino al male: quando ci mettiamo dinnanzi in verità e onestà alla nostra piccolezza, ci rendiamo ben conto che non abbiamo gli strumenti per giudicare fino in fondo, per separare il grano dalla zizzania senza il rischio di buttare via anche il primo con la seconda (Mt 13,24-30). Fino a visione piena della realtà, non sappiamo davvero cosa sia bene e cosa male: disponiamo soltanto di alcune coordinate essenziali.

Nel prosieguo del racconto ci saranno altri atti di cura, ma oggi abbiamo già inteso che la creazione di Adàm-noi è un atto d’amore, mosso dall’amore e finalizzato a irradiarlo. Adàm è solidale in modo pari con la terra e con la vita di Dio dentro di sé: la prima è tutt’altro che negativa, anzi Dio ha bisogno di un suo figlio e collaboratore che sia sintonizzato sulla vibrazione terrestre per poter giungere dove Lui, puro spirito, non può; ma non lo abbandona in questa solidarietà, perché lo vitalizza con la ruah, il suo respiro, spirito creatore che lo rende partecipe di un potere creativo colmo d’amore e di vitalità desiderante.

Il salmo oggi in questo contesto mi suona come il canto di Adàm, grato e benedicente per la vita ricevuta.

Anche oggi il Maestro ci sospinge verso l’interno: è da lì che fuoriescono sentimenti strutturati in pensieri immondi, disgregativi, che ci separano dalla nostra essenza personale e ci contrappongono agli altri nostri simili, di per sé invece interamente connessi con noi. Nell’incontro del gruppo delle famiglie di domenica, il nostro amico Stefano invitava a non lasciarsi sopraffare dalla tendenza allo sconforto per quello che vediamo fuori di noi, stando piuttosto dentro di noi e soprattutto confidando nello Spirito Santo che sa, ricordando inoltre che Gesù proprio il peccato contro lo Spirito Santo lo ha giudicato non perdonabile (Mt 12,32; Mc 3,28-30): ed è proprio vero. Non è imperdonabile perché Dio si adira a tal punto da non essere più in grado di perdonare, ma perché siamo noi che ci collochiamo in una zona di incomunicabilità con Dio, di inattingibilità della Sua vita, del Suo Amore, del Suo sguardo, nel momento in cui lasciamo prevalere la sfiducia, come se Dio si fosse dimenticato di noi e ci avesse abbandonati ai prepotenti e tiranni stolti di turno. Questi ci sono, sì, e persino in ogni tempo; ma c’è lo Spirito Santo che guida ogni cosa e non ci lascia mai soli. Volgere lo sguardo verso l’interno, occuparci della nostra incessante purificazione da energie disgregative e da pensieri densi per riposizionarci nella comunione piena con Dio, attingendo alla Purissima Fonte. “Chi ci separerà dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore? … Niente e nessuno potranno mai separarci” (cfr. Rm 8,31-39). Si tratta di non aver paura. Occuparci di “coltivare e custodire” questa intima unione, come Adàm con la terra, come ci insegnano mistici e santi di ogni tempo e luogo. Più volte abbiamo visto (penso già solo a Etty Hillesum) che hanno trovato fiducia e felicità persino nelle manifestazioni dell’inferno sulla terra, dandogli corpo loro con atti d’amore (s. Massimiliano Kolbe). “Cercare felicità all’esterno di noi stessi è come cercare di prendere al laccio una nuvola. La felicità non è una cosa della mente. Deve essere vissuta” (...) Una forte determinazione di essere felici vi aiuterà. Non aspettate le circostanze per cambiare, credendo erroneamente che in esse stanno le difficoltà. Non fate dell’infelicità un’abitudine cronica. È una benedizione per voi stessi e per gli altri se siete felici. Se possedete la felicità voi possedete ogni cosa; essere felici significa essere in sintonia con Dio (…). Nel tuo cuore ci sia soltanto amore nei confronti degli altri. Più saprai vedere in essi la bontà, più la bontà potrà manifestarsi in te” (Paramahansa Yogananda).

 

NB: gli autori citati sono sempre indicati in forma ipertestuale: puntando il mouse sul nome, si può aprire il riferimento biografico.

 

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