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Paginetta – Diario liturgico di A. Jori – venerdì 7 febbraio 2025 – IV t.o. dispari

Immagine del redattore: Antonella JoriAntonella Jori

Aggiornamento: 7 feb



Paginetta venerdi 7 febbraio 2025

Link per la Liturgia della Parola (secondo il rito cristiano-cattolico latino):

 

Link per chi desidera essere orientato con suggerimenti per impostare la lectio quotidiana:

 

Alcune annotazioni

 

Ci troviamo nella parte cosiddetta parenetica della lettera agli Ebrei, cioè quella contenente suggerimenti pratici relativi alla conformità dello stile di vita alla presenza operante di Cristo. Le indicazioni non necessitano commenti, mentre mi soffermo un momento sulla frase conclusiva: “Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!” perché, pur giungendo al finale, mi pare sostenga l’intero brano e ogni suggerimento, soprattutto quello relativo alla “fiducia”, a sua volta compendiato da due citazioni scritturistiche che costituiscono come una sorta di breve dialogo fra Dio e l’essere umano: Egli che assicura di non lasciarlo e non abbandonarlo, l’uomo che risponde con una professione di fede certa. Come già ho scritto ieri circa l’importanza di rammemorare spesso e volentieri che ci siamo “accostati alla città del Dio vivente e all’assemblea degli angeli e dei santi”, essendo in tal modo innalzati in alto quasi alla “guancia di Dio” come il suo piccolo diletto Efraim (Os 11,4), così oggi avverto l’importanza di fare memoria di tutto questo movimento che parte dalla certezza dell’immutabilità di Cristo e della sua fedeltà amorosa, in forza della quale non siamo mai abbandonati, anche quando tutto concorra a far sembrare il contrario. La mia impressione è che bisognerebbe – e lo dico a me per prima – lavorare ogni giorno sull’attenzione e l’ascolto alla voce dell’anima, che è la parte alta e profonda di noi, vivente da sempre e per sempre in Dio, dunque connessa a Dio senza soluzione di continuità: recuperando e ripristinando le nostre memorie sottili, il piano vitale che abbiamo scelto per far evolvere i nostri apprendimenti spirituali, perché potessimo attraverso quest’esperienza terrena ed essere sempre più simili a Dio quali Suoi figli che recano il suo dna interiore.

Queste memorie sottili sono quelle che hanno perso i tiranni, salvo che abbiano scelto consapevolmente d’interpretare questi orrendi personaggi terreni. Oggi li vediamo ben attivi, in almeno tre figure, nel brano del vangelo: quella di Erode, che forse dei tre è il più grottesco nella sua claudicanza interiore che lo conduce da un lato a essere attratto dalla statura spirituale di Giovanni Battista e dall’altro incapace a seguirlo davvero in quanto assoggettato alla brama di potere e soprattutto alla concupiscenza di cui è schiavo, come lo è di Erodiade e della sua figlioletta Salomé. Poi c’è Erodiade, la tipica prepotente e arrogante di turno, che mi evoca la figura della moglie di Hoss, capo del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau ben narrata nel film “La zona d’interesse” che ho citato qui il 27 gennaio: vacua, frivola, approfittatrice, l’unica che riesce a non far turbare i suoi sonni notturni nel fetore degli odori dei forni lì accanto, disinteressata alla patologia di una delle figliolette, terribilmente tirannica con le giovani domestiche, tutta concentrata nel suo ruolo di “regina di Auschwitz” assegnatole dal marito.

Infine Salomè, la ragazzina ricca e vanagloriosa, a sua volta assoggettata alla madre e priva di obiettivi personali se non quello di compiacerla.

Il silenzio di Giovanni Battista e del modo in cui avviene il suo martirio lo colgo roboante. E’ il silenzio dei santi di ogni tempo e luogo, che continua a parlare e risuonare lungo la storia assai più delle sfrenate musiche sui cui ritmi balla Salomè per suscitare le voglie del re. Una giustizia c’è, l’ego ha vita breve, almeno nelle sue singole manifestazioni: come vede Daniele nelle sue visioni notturne, la grande statua che simboleggia i grandi imperi di questo mondo, prima o poi si sgretola tutta e ne restano solo frantumi, come accade alle immagini e ai simboli dei prepotenti del pianeta (Dn 2).

Bisogna puntare il compasso su questa certezza: non siamo mai lasciati né abbandonati da Dio. Nello sconcerto e lo sconforto che la storia umana ci provoca, nella reiterazione di stoltezze efferate che non avremmo mai voluto vedere, “irrobustite le mani fiacche e le ginocchia vacillanti … il deserto fiorirà … coraggio, non temete, Egli viene a salvarvi” (Is 35,1ss.).

Non siamo mai abbandonati da Dio. Semmai siamo noi che abbandoniamo Lui.

 

NB: gli autori citati sono sempre indicati in forma ipertestuale: puntando il mouse sul nome, si può aprire il riferimento biografico.

 

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